Tra storia e curiosità
Il cibo ieri e oggi
C'era una volta
Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo.”
Ippocrate
I greci riconoscevano al cibo un ruolo importante per il mantenimento di uno stato di salute soddisfacente. La stessa parola “dieta” deriva da un termine greco che significa “modo di vita”. Ippocrate di Cos (460 a.C. 370 a.C. circa) riteneva che alcuni cibi fossero nocivi, come altri potessero perfino guarire dalle malattie: i formaggi troppo stagionati e la carne molto salata avrebbero potuto produrre effetti negativi per le vie biliari, la carota e il sedano sarebbero stati diuretici, molte verdure purificanti, alcune rinfrescanti; al vino rosso riconosceva proprietà astringenti, e considerava l’idromele un toccasana per la gola. Sulla scia di Ippocrate, Galeno (129-216 d.C. circa), che fu il medico di Marco Aurelio, Lucio Vero, Commodo, Settimio Severo e autore di circa quattrocento opere che raccoglievano tutto quel che era considerato il sapere medico dei suoi tempi, studiò anche il rapporto tra cibo e salute riconoscendone la stretta connessione. Consigliava un’alimentazione ricca di vegetali e pesce, enfatizzava le proprietà benefiche dell’olio d’oliva come condimento e un largo uso di aglio, che riteneva fosse perfino un rimedio ai morsi dei serpenti, e di quella cipolla alla quale nel medioevo si riconosceranno qualità ricostituenti.
Nel Medioevo, i medici consigliavano di cominciare il pasto con cibi facilmente digeribili, proseguendo con quelli che lo erano di meno, come il formaggio stagionato. Era pratica suggerita tritare gli alimenti e stagionarli per facilitare l’assimilazione di nutrienti. La modalità di cottura preferita era quella sulla fiamma viva.
L’alimentazione, essendo ritenuta fondamentale per la salute, era oggetto di interessanti dibattiti. Sui libri di medicina si trovavano indicazioni su come cucinare e mangiare i cibi.
Presso la Scuola Medica Salernitana (IX e il XIII secolo), era in auge il motto: «se vuoi vivere sano e senza mali, schiva gli affanni e guardati dall’ira; mangia e bevi, ma poco». Nell’invitare alla moderazione, si ribadiva anche l’importanza delle associazioni di alimenti per mantenersi sani.
Sulle mense dei nobili non mancavano uova e carne: oltre al maiale, bovini, ovini, volatili di ogni tipo, selvaggina tradizionale e perfino carne di riccio e porcospino. C’era sempre il pane; alla nobiltà erano destinate le farine più raffinate. Segale, orzo, grano, cardi, cipolle, cavoli e legumi erano frequenti sulle tavole dei contadini, sotto forma di zuppe.
Limoni, arance amare, melograni, fichi, datteri e uva, si mangiavano in prossimità delle coste del Mediterraneo. Pere, mele, prugne, fragole al nord.
Durante il Rinascimento e fino a tutto il Seicento, si considerava equilibrata un’alimentazione che tendesse a unire sostanze diverse, nella convinzione che un piatto composto da più alimenti fosse più nutriente. Si diffuse il gusto per la cucina artificiosa. Cotture ripetute, abuso di spezie, zucchero, salse grasse, carne e frutta, erano appannaggio dei ceti abbienti. L’opulenza dell’alimentazione rispecchiava le forme delle donne dalle morbide curve. Con il banchetto si esibiva il proprio status. I contadini mangiavano cereali, riso, legumi e pane di segale, zuppe, polente e quelle verdure e ortaggi che potevano reperire con facilità; la frutta era uno sfizio.
La scoperta dell’America, nel 1492, segnò una fase di passaggio. Arrivarono dal nuovo mondo pomodori, mais e patate, cibi fino ad allora sconosciuti, cambiarono le abitudini alimentari, anche la cucina spalancò le braccia all’età moderna.
Il cibo spazzatura
Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei.
Jean Anthelme Brillat-Savarin
Junk food, cibo spazzatura. Definizione dalla storia recente: il termine è stato utilizzato per la prima volta da Michael F. Jacobson, nel 1951, per indicare quel cibo considerato poco salutare sia per il basso valore nutrizionale, sia per l’elevato contenuto di grassi o zuccheri. Già la terminologia è inequivocabile, eppure non sono pochi coloro che ne sono attratti irresistibilmente e ne fanno largo consumo e altri che, se non spesso, ma in più di un’occasione, si abbandonano alla presunta piacevolezza di gustare il sapore di alimenti che sono in dissonanza con la salute. Una tentazione colorata di trasgressione e, forse, proprio per questo, invincibile.
La cattiva abitudine di indulgere, con troppa frequenza, in cibi spazzatura è più diffusa tra i giovani che non tengono adeguatamente conto delle conseguenze di un’alimentazione errata. I ragazzi rischiano, tra l’altro, problemi con la memoria e l’infertilità.
La mente, una volta abituata allo junk food, che condiziona le preferenze alimentari, frequentemente spinge a mangiare in modo esagerato alimenti poco salutari, ricchi di zucchero e sale, quali patatine, salatini, pizzette, snack, cheeseburger, bevande gassate e altro, che nell’organismo creano un meccanismo che li rende invitanti, attivando un insieme di sostanze euforizzanti come la dopamina, che stimola i centri della gratificazione e del piacere. Un piacere che ha un prezzo troppo alto da pagare!
Curiosità
Un pasto senza vino è come un giorno senza sole
Jean Anthelme Brillat-Savarin
Il vino ha origini molto remote, avvolte da un alone di mistero che ne aumenta il fascino.
Gli antichi egizi, ai quali va il merito di essere riusciti a sottoporre l’uva a un processo molto simile all’attuale metodica di vinificazione, gli conferirono una veste sacrale; una leggenda narra che fu proprio Osiride, divinità dell’agricoltura e della vita dopo la morte, a scoprire nei pressi di Nisa la vite e fu lui a insegnarne agli uomini la coltivazione, la vendemmia e come fare la squisita bevanda ricca di proprietà nutrizionali.
Una storia antica, quella del vino, che, gustato in dosi moderate (è consigliabile mezzo bicchiere a pasto), ha diversi effetti positivi, se non si hanno controindicazioni a causa di particolari patologie.
Nello specifico, quello rosso ha molte proprietà; contiene tannini (o proantocianidine), composti polifenolici che gli danno il colore e hanno una potenziale azione benefica a livello cardiovascolare; è ricco di quercetina, utile per contrastare i processi infiammatori ed è un antiossidante naturale.
Il vino può avere un effetto terapeutico se usato nella preparazione di alcuni rimedi, enfatizzando le qualità curative degli altri elementi del composto, per il suo contenuto di rame, ferro e zinco, catalizzatori biologici.
Nelle donne in menopausa può contrastare sia l’osteoporosi, sia il calo degli estrogeni. Per chi soffre di disturbi gastrici è opportuno evitarne l’assunzione, in particolare a digiuno. Importante è sempre non sconfinare nell’eccesso.
Che cos’è la salute? La salute è il cioccolato…
Anthelme Brillat-Savarin
Il cioccolato fondente è buono e fa bene alla salute. Consente ad alcuni batteri nell’intestino di fermentare, favorendo la produzione di composti dalle proprietà antinfiammatorie benefici per il cuore e il sistema cardiovascolare; inoltre, con una percentuale di cacao non inferiore al 45%, può contrastare lo stress, per i flavonoidi in esso contenuti. Un consumo moderato e costante è consigliabile per ipertesi e pre-ipertesi.
Il cioccolato è, ormai, il risultato di esperimenti di produzione riusciti con successo sul seme del cacao e la miscelazione con altri ingredienti.
Questo alimento delizioso ha una lunga storia. Il nome scientifico è Theobroma cacao, (in greco “cibo degli dei”) assegnato da Carlo Linneo nel 1735; si estrae dai semi di una pianta originaria dell’America tropicale ed è consumato in tutto il mondo. Le sue origini sono antichissime, probabilmente furono i Maya i primi a coltivare la pianta. Chacauhaa era il nome che attribuirono alla bevanda composta dal cacao e dall’acqua calda, in uso solo tra nobili e i guerrieri. Al cacao si attribuivano proprietà terapeutiche e un valore mistico e religioso.
Furono gli spagnoli a esportare la gustosa bevanda nel loro protettorato della contea di Modica e in breve si diffuse in Sicilia. In Piemonte, il cacao arrivò con Caterina, figlia di Filippo II di Spagna, dal 1585 moglie di Carlo Emanuele I, duca di Savoia, che lo introdusse anche a Firenze, alla corte di Cosimo III dei Medici. A Francesco Carletti (1573-1636), grande viaggiatore fiorentino, va il merito di averlo fatto conoscere a buona parte della Toscana, rientrando dal suo viaggio in America, dove aveva visitato le piantagioni di cacao e ne era rimasto affascinato. Dai prelati spagnoli arrivò alla Curia romana. Nella Venezia del Settecento, nacquero le prime “botteghe del caffè”, antesignane dei nostri bar, che erano anche “botteghe della cioccolata”, dove si faceva a gara per modificare la ricetta esistente, inventando nuove versioni. Fino a tutto il XVIII secolo il cioccolato fu considerato la bevanda virtuosa con proprietà miracolose.
Tête a tête con una frittura
“Tutto il merito di una frittura è affidato alla sorpresa, così si chiama l’invasione del liquido che carbonizza o imbiondisce, all’atto stesso dell’immersione, la superficie esterna del corpo così trattato”.
Anthelme Brillant- Savarin
La frittura è una tecnica di cottura alquanto discussa nell’ambito della scienza della alimentazione, oggetto di interesse sia di sostenitori, sia di detrattori.
Importante è come e con che cosa si frigge. Già gli antichi romani friggevano con l’olio di oliva, che all’epoca aveva un sapore acre e non era molto apprezzato in ambito alimentare. Una modalità di frittura, presumibilmente, era già esistente nella cultura ellenica; però ha iniziato ad accreditarsi nel Medioevo e poi durante il Rinascimento, con l’introduzione in cucina dei grassi animali, riservati ai ceti più abbienti.
Un piatto di frittura, quindi, ha una storia lunga alle spalle, ed è un qualcosa a cui non è facile rinunciare. Nella dieta ispirata ai principi della bioterapia nutrizionale può esservi inserito, ma deve essere fatto nel modo corretto. In primis richiede l’utilizzo di olio, preferibilmente extravergine di oliva (che ha un punto di fumo superiore a 180 gradi), che deve essere abbondante e la temperatura non deve superare il punto di fumo. L’olio extravergine d’oliva è l’unico che reagisce in modo molto stabile all’attacco combinato dell’ossigeno e delle temperature elevate, essendo ricco in sostanze antiossidanti. Più alta è la temperatura, più facilmente si alterano i grassi, che potrebbero anche produrre effetti tossici, per le reazioni di polimerizzazione, ossidazione, ciclizzazione e isomerizzazione. Se l’olio fuma e ha un odore sgradevole è bene non utilizzarlo. I tempi di cottura sono fondamentali, se ci sono parti scure troppo cotte e bruciate, significa che contengono acrilamide (una sostanza cancerogena). Se si frigge correttamente, nonostante lo shock termico che altera le molecole superficiali per il tempo di cottura breve, l’alimento mantiene i nutrienti interni, alterandoli meno rispetto a come avviene con altre modalità di cottura. La disidratazione veloce, con saturazione lipidica, facilita il ruolo dei succhi digestivi. Le fritture, per avere un’attivazione di stimolante epato-biliare, devono essere associate ad altri alimenti che siano ricchi di acqua di vegetazione, necessaria per sostenere il sostegno biochimico del lavoro epatico che la frittura richiede.
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